23 maggio 2010

Sogno n. 129

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Una donna mi chiedeva se avessi ripreso a cavalcare. Le rispondevo di no ma che lo avrei fatto, forse tra poco. Di fatto mi chiedevo perché non cavalcassi, perché non avessi ripreso a farlo. Non facendolo mi pareva di ingannare me stesso.

Interpretazione

Il cavallo rappresenta l'energia vitale, l'energia delle emozioni, l'energia che fluisce e trasporta. Cavalcarlo significa pertanto servirsene per andare dove si vuole nella vita. Il paziente sente che questa energia è ritornata e prova il desiderio di usarla. È anche convinto che ingannerebbe se stesso se non lo facesse.

Dopo avere coltivato la vigna a lungo, con pazienza e con fatica, questo è il momento della vendemmia perciò sarebbe sciocco e ingannevole non approfittarne.

Ci si potrebbe chiedere perché è una donna a fargli quella domanda, ma l’eventuale risposta non aggiungerebbe niente di veramente essenziale al nucleo centrale che è rappresentato da quanto appena detto. Personalmente, in un sogno preferisco tralasciare un particolare quando il suo significato non si impone subito con evidenza. Insistendo a volerne ricavare qualcosa a tutti i costi si finirebbe infatti per ottenere qualcosa o di banale o di artefatto che soddisferebbe soltanto il bisogno di mostrare che si possiede la capacità di produrre “effetti speciali” che però non sarebbero di nessuna utilità per il paziente e finirebbero anzi per conferire a tutto il resto del sogno un sapore di artificiosità che ne rovinerebbe gli effetti positivi. Sono del parere che niente compromette l’efficacia dell’interpretazione di un sogno quanto le cosiddette “pippe mentali”. Chiedo scusa per l’espressione poco professionale, ma a volte rende l’idea meglio di tante elucubrazioni dotte e di tanti "gargarismi" intellettuali.

18 maggio 2010

Sogno n. 128

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Vedevo una scala lunga, mi pare metallica. In ogni modo era robusta. Era posta verticalmente lungo una parete liscia. Notavo che era faticoso arrampicarsi. Questa fatica derivava dal fatto che fosse così verticale. In questo modo infatti il proprio peso era sbilanciato all'indietro perciò si era costretti a fare forza solo con le braccia. Direi che avevo il timore di non farcela. Sarebbe stata meglio una scala inclinata. In questo modo il peso avrebbe gravato sulla scala e non verso l'esterno: non ci sarebbe stato bisogno quindi della forza aggiuntiva delle braccia.

Interpretazione

Salire una scala è simbolo dell'elevarsi, del crescere, del maturare, quindi del processo che si verifica durante l'analisi. Questo processo non è una passeggiata e in certi momenti può far comparire il timore di non farcela. Talvolta c'è proprio il rifiuto esplicito di crescere. Una volta una paziente mi disse chiaro e tondo all'inizio dell'analisi: "Fammi pure tutto ma non farmi crescere, io non voglio crescere". A parte l'ingenua convinzione che l'analista possa fare tutto, c'era l'idea che la guarigione e la crescita possano essere disgiunte, come se non fossero due facce della stessa medaglia.

Tornando a questo sogno, di positivo ci sono due cose: il paziente è consapevole che può fare affidamento soltanto sulle proprie forze e ha comunque la sensazione che la scala sia robusta. Lui l'avrebbe preferita anche un po' più comoda. Come dargli torto?

11 maggio 2010

Sogno n. 127

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Non ricordo molto del sogno. Ricordo solo che, almeno in due casi, qualcuno che sembrava essere il più sporco (in senso morale), poi si rivelava essere il migliore o, per lo meno, quello utilizzabile.

Interpretazione

Ecco il punto di svolta di un'analisi: finalmente si scopre che lo sporco, quello che si sentiva di avere dentro, non lo è affatto, anzi è addirittura la parte migliore di noi stessi o, per lo meno, qualcosa che può essere utilizzato, quindi qualcosa da non rifiutare e buttare via.

Da questo momento in poi, nell'analisi le resistenze diminuiscono progressivamente perché non si è più convinti, come si era prima, di dover mettere le mani in una pattumiera, in un pozzo nero, ma si comincia a sentire che le mani possono essere affondate in un forziere contenente ricchezze e risorse.

I pazienti la cui analisi sta attraversando una fase di rallentamento, quando leggono i sogni simili a questo, pensando a chi li ha fatti, in un primo momento qualche volta si deprimono perché pensano: “Beati loro che ce l’hanno fatta, io invece non ci riesco”. Per aiutarli ad uscire da questo pessimismo, allora, è utile precisare che anche quei sognatori da loro ritenuti “fortunati e capaci” avevano attraversato in precedenza periodi di apparente scarsa produttività simili a quello che stanno attraversando loro in quel momento. Allora il pensiero pessimistico riportato sopra viene sostituito da quest’altro improntato all’ottimismo e alla fiducia: “Se ce l’hanno fatta loro, perché non dovrei farcela anch'io?”.

6 maggio 2010

Sogno n. 126

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Scoprivo una stanza che era ancora dipinta con la vernice che a suo tempo aveva dato papà. Ero contento di avere scoperto quella vernice originale e volevo acquistarne dell'altra uguale per riverniciare. Riuscivo a rintracciare il numero di telefono della ditta che aveva prodotto la vernice, ma avevo il dubbio che nel frattempo il numero fosse cambiato o che la ditta non esistesse più. Comunque telefonavo, parlavo con la ditta e mi dicevano che la vernice c'era ancora. A quel punto avevo il dubbio che la vernice, pur avendo lo stesso n° identificativo, fosse cambiata nei suoi componenti, considerati gli anni che erano trascorsi. Pensavo anche che, comunque, il colore dovesse essere uguale, quindi decidevo di comprarla ma, mentre mi svegliavo, mi veniva il pensiero fulmineo che quella vernice era quella di papà, non la mia!

Interpretazione

Tra le tante critiche malevole che si fanno all'analisi c'è anche quella secondo la quale il paziente finirebbe per ragionare con le stesse idee dell'analista (simbolo del padre). Una specie di plagio, insomma. Questo sogno dimostra invece quanto sia infondata questa accusa. In un primo momento infatti nel sogno c'è il desiderio perfino ossessivo di ricalcare esattamente le orme del padre, ma alla fine il sognatore ha la consapevolezza improvvisa di possedere una propria personalità distinta, separata e diversa da quella del padre. Questo è il primo passo verso l'emancipazione dai valori semplicemente "trasmessi". .

Non è escluso che il paziente, adesso, possa decidere di usare ancora la stessa vernice usata dal padre, ma in questo caso lo farebbe solo perché quella vernice "gli piace" e non più perché è quella che aveva usato il padre. Per poter sviluppare una propria personalità autonoma è necessario distinguersi, separarsi, differenziarsi. Bisogna precisare, però, che questo processo non implica necessariamente il rifiuto di tutto quello che ci è stato trasmesso. Implica solo il ripensare criticamente i valori trasmessi e verificare quali ci convincono e quali invece no. Relativismo morale, allora? Non direi. Infatti, quando la personalità si è sviluppata in modo equilibrato, certi valori fondamentali vengono sempre riconosciuti e fatti propri.